Tsunami

Quando non ho voglia di scrivere, e non ce l’ho per giorni e settimane, comincio a pensare che non mi verrà più. E per scrivere intendo aprire word e cominciare a picchiettare sui tasti riempiendo almeno metà foglio di frasi che, messe insieme, hanno una qualche logica.
Come un gatto che esce in cerca di avventure e non torna, lo cerchi dappertutto, lo chiami, poi te ne fai una ragione, non tornerà. È finito spiaccicato sotto una macchina o rincorre topi e cavallette insieme a qualche altro randagio, ad ogni modo non tornerà.

Forse ho finito le cose da dire, almeno quelle da dire qui, in pubblico, sotto gli occhi di tutti. È un periodo pieno di cose private, belle, quelle che dici a qualcuno con la mano davanti alla bocca anche se non si fa ché non sta bene. E le dici sottovoce per essere sicura che ad ascoltarle siate solo in due, per tenerle lì e non disperderle, diventi un po’ gelosa delle cose che dici e non gli apri la porta sennò poi scappano come i gatti. È un periodo egoista.

Stanotte ero in un hotel pieno di vetrate e guardavo il mare in tempesta, fuori, in un luogo imprecisato. Ero da sola e osservavo questo mare incazzato nero e stavo bene, mi sentivo protetta da quelle vetrate enormi e fredde. Poi, all’improvviso, si alza un’onda altissima e viene verso l’hotel, spacca i vetri ed entra nella hall. Faccio qualche passo indietro, ma senza scompormi più di tanto, vado in camera a riprendere le mie cose, senza scompormi più di tanto.

È un periodo egoista, pieno di cose belle, in cui non ho paura nemmeno degli tsunami.
Il gatto è tornato giusto il tempo di farsi una pisciatina sull’uscio di casa, l’ho visto che scappava con la coda dell’occhio. Ma almeno so che è vivo e sta bene. E va bene così.