Qualche giorno fa, ho scritto che i momenti perfetti non hanno niente a che fare con la perfezione. E che la perfezione non esiste e, se esiste, è noiosa. Ho scritto questa cosa pensando all’ultimo momento perfetto che, se ve lo raccontassi, capireste che di perfetto ha ben poco. È un momento perfetto tutto sbagliato, bagnato di pioggia, intriso di mancanza, di impossibilità, ma perfetto perché non può che essere così e perché è uno di quei momenti che so benissimo che ricorderò a distanza di anni, come tanti piccoli momenti perfetti che vengono prima di questo e che verranno dopo.
Ad esempio, quando ero piccola, io e mio cugino passavamo molti pomeriggi insieme, nel cortile dietro casa nostra, ma di tutti quei momenti, alcuni passati a cogliere fichi dall’albero o a smangiucchiare viticci che spuntavano dai tralci delle piante di uva, di tutti quei momenti ne ricordo uno perfetto, una porta aperta e una serranda chiusa a metà. Il laboratorio di pittura della figlia dei vicini lasciato incustodito, la prova di coraggio che richiedeva non più solo sbirciare le tele, ma intrufolarsi, rubare qualcosa, qualsiasi cosa. L’afa di un primo pomeriggio pugliese di agosto in cui dormono tutti, il cuore a mille e pochi secondi per scegliere cosa prendere, un pennello? Un tubetto di tempera? Ho preso un colore a caso e ho imparato quel giorno che esisteva un colore chiamato magenta.
E qualche anno dopo, la sera in cui il ragazzo di cui ero innamorata, il primo vero amore della mia vita, ha risposto “lasciateci in pace” ad amici che volevano che ci unissimo alle loro schitarrate e invece noi due ce ne stavamo un po’ in disparte, a parlare, lì sul muretto con sotto il lago fermo e nero. Quel “ci” che significava “noi”, che sarebbe stato il primo e l’ultimo, ma io ancora non lo sapevo, io quella notte sono tornata a casa e ho scritto il diario piena di buone speranze, quel momento che avrebbe dovuto farmi venire il coraggio di confessare e invece è rimasto solo un momento perfetto di un amore mai rivelato.
E la prima volta in cui siamo andati in un ristorante indiano, a Santa Barbara, stufi di mangiare hamburger e patatine. Scegliere un sacco di piatti a casaccio dal menù, non avere idea di cosa ci avrebbero portato, dopo mezz’ora non distinguere più i sapori, tra cumino, cardamomo, curry e curcuma. Camminare sul molo con molti meno dollari e qualche chilo in più, un po’ ubriachi, e fantasticare di trasferirci lì, in una casetta con vista sul Pacifico. Ma anche quel 30 dicembre in cui sono tornata a casa senza di te e ho capito di aver sbagliato e che non avrei mai più voluto tornare a casa senza di te.
E i mondiali del ’90. A nessuna di noi femmine fregava niente dell’Italia, noi volevamo solo sventolare le bandiere e mangiare i gelati. Quel pomeriggio, siamo andate al solito bar a comprare i cornetti e le coppette e un Piedone per me perché a me piaceva il Piedone. E a terra, ai piedi del bancone, abbiamo trovato 5 mila lire e ci siamo guardate tutte e abbiamo pensato non c’è nessuno, sono nostre. E abbiamo comprato patatine per 5 mila lire senza nessun senso di colpa, ma neanche mezzo. Quella sera l’Italia ha vinto e noi abbiamo sventolato le bandiere e tutte, tutte eravamo felici mangiando patatine a spese di qualcuno un po’ troppo distratto.
E quel giorno in cui ci siamo conosciuti e abbiamo capito subito che avremmo imparato insieme a vivere meglio, di più, e quasi ci stavano cacciando dalla caffetteria dove avevamo messo radici. E la prima volta in cui nonno mi ha portato un enorme girasole e io non sapevo che i girasoli si potessero mangiare e invece sì, hanno i semi buonissimi e cicciotti. E quel giorno in cui mi hanno detto che eri caduta saltando sul letto e ti eri spaccata il labbro e noi avevamo litigato, come succedeva spesso, e stavo mangiando un panino e mi sono messa a piangere perché è vero che avevi un caratteraccio, ma ti volevo bene. E l’ultima figurina dell’album di Pollyanna che, per ottenerla, ho dovuto leccare la suola di una scarpa, però poi ho finito l’album quindi ne è valsa la pena. E gli occhi negli occhi, non tutti, ma alcuni occhi in alcuni occhi, valgono sempre la pena, sono sempre un momento perfetto, anche quando è tutto sbagliato, bagnato di pioggia, intriso di mancanza e impossibilità.
se c’è di mezzo un pedone è sempre un momento perfetto. è ovvio.
Hai dimenticato una “i” ma ti perdono perché hai ragione :D
ahhaha, ci scommetto che è opera del correttore!!! piedone tutta la vita! :D
Solo tu. <3
aaaaawwwww <3
Godibile come sempre…
Grazie *.*
Fantastica <3
Oh, grazie Lucia :)
Oh mamma che bella roba Caludia. Tutto bello. Tutto d’un fiato. Ora me ne vado a dormire piena di bellezza. Mica poco!
Per fortuna i momenti perfetti non possono essere costruiti a tavolino secondo una formula da imparare a memoria e nemmeno hanno alcunche’ a che vedere con la perfezione. Anzi le loro imperfezioni sono ciligine come i nei sulla schiena amata che diventano la mappa del tesoro.
ml
Hai colto nel segno :)
ma riesci ad accorgertene mentre sono in corso dei momenti perfetti? Ci ho pensato ma mi sembra che qualcosa per me riemerge solo col ricordo :/ quindi sarei piuttosto invidioso.
E a Magente città? Quando ci vai? Eh? Tra l’altro, da Magerata a Magenta il passo è breve
u.u senza vergogna
Scemo <3
A volte me ne accorgo mentre li sto vivendo, sì, è raro ma quando succede escono gli unicorni che vomitano arcobaleni :D