Roma.
Una cucina non mia, una tazza di caffè sul tavolo con un fondo che mi piacerebbe saper leggere. On air, uno di quei cantanti italiani indie dai nomi strani, che non so dire se mi piace o no, ma intanto mi fa muovere il piedino a tempo.
La prima cosa che ho letto, oggi, è stato un verso di Neruda. A casa dei miei, c’era un libro di poesie di Neruda, aveva la copertina gialla ed era vecchio, anche le pagine interne erano gialle e macchiate, puzzavano un po’ di muffa, come se il libro fosse rimasto in una stanza umida per molto tempo. Leggevo ogni tanto un paio di poesie e mi sembravano un po’ così, melense, noiose, sapevano di muffa anche le poesie, però cercavo di capire perché non mi parlavano, non sapevano dirmi le cose o se ero io che tra le righe vedevo solo il vuoto lasciato dalle righe. Per molti anni la poesia è stata relegata in soffitta a prendere polvere e a impregnarsi di umido insieme a tutte le cose che non capivo, tipo la musica classica, l’opera, il balletto. Forse era il cinismo. Il cinismo è una cosa bellissima quando non ti ostruisce le arterie come fa il colesterolo, quando riesce a lasciare lo spazio pure al resto.
La prima cosa che ho letto stamattina, in una cucina non mia, è stato un verso di Neruda, condiviso non so più da chi. Diceva “Ci restammo dentro come il mare resta dentro le conchiglie, per sempre”.
Ho rivisto la conchiglia nella vetrinetta di mia nonna, una conchiglia che nelle mie mani di bambina sembrava enorme e che io prendevo ogni volta di nascosto da quando mi avevano detto che, avvicinandola all’orecchio, si sentiva il mare. E il mare si sentiva per davvero, pure se era una conchiglia finta, di ceramica, bomboniera di chissà quale matrimonio. Io il mare lo sentivo.
E ho pensato a oggi, a ieri, al mare che mi si incastra dentro e non esce più, un mare calmo che è bello da ascoltare, è bello da nuotarci dentro. A volte, un mare tempestoso che mi agita, che mi entra nel naso e mi fa tossire e mi fa maledirlo e mi fa desiderare di non averlo, di essere una cozza. Ché se avvicini una cozza all’orecchio, non si sente niente.
A volte vorrei che il mare mi bagnasse solo i piedi e poi ognuno prendesse la propria strada, io la terra, lui il largo. Vorrei essere così, anche nuotare lontano dalla riva, magari, ma poi tornare prima che le dita mi si raggrinziscano, che la bocca mi si faccia viola, tornare ad asciugarmi al sole, lavare via il sale e far sparire ogni traccia di mare. Oggi, ad esempio, vorrei così perché il mare è agitato e non mi piace, mi rende inquieta, vorrei tuffarmici ma non si può. C’è un’enorme bandiera rossa e la boa quasi a riva. Non si può.
Domani sarà diverso e sarò felice di essere conchiglia e non cozza, anche se è difficile, con tutte quelle maree, ora basse ora alte, le secche, i frangiflutti per evitare che il mare si mangi tutta la spiaggia. È impegnativo essere una conchiglia, contenere il mare per sempre.
*mi piace* e non è che se una è conchiglia poi può esser cozza. Di cozze ce ne sono tante e sembrano tutte uguali, le conchiglie sono tutte diverse, uniche, con dentro una spirale di meraviglia e sfumature perlate, e sì, certo, dentro hanno anche tutto il mare, il suono e se ti concentri anche il profumo.
(Awwwww comunque anche a casa dei miei nonni c’era – forse c’è ancora – una conchiglia che a me sembrava enorme, e la avvicinavo alle orecchie per sentire il mare <3 mi hai riportato alla mente un bellissimo ricordo… :* )
(Un’altra cosa in comune <3)
Lo so, non sei mai andata via, però: ben tornata! Ricorda che se tu non hai bisogno di scrivere, c’è chi ha bisogno di leggere (presente! :^).
Oh grazie! Ogni volta che scrivo mi rendo conto di quanto abbia bisogno di scrivere :)
Il libro me lo aveva regalato un’amica e in effetti lo teneva in un luogo buio e umido. Ora è qui, con me. Il suo odore è sempre un po’ muffoso e le pagine hanno l’aspetto di un libro arrivato da chissà quale mare,
ma scorrere le sue righe incontrando conchiglie è, appunto, viaggiare in mare aperto. Difficile che parli ad una 15enne con il mito di marilyn manson e non è scontato trovare la conchiglia, subito. C’è un tempo parlato, cantato, ballato, cresciuto e poi c’è il tempo ascoltato. Quello che è arrivato a te. Ricordo la tua espressione nel portarti all’orecchio quell’oggetto.
Che bella conchiglia sei!
<3
Ma Neruda la mattina vale? Non è meglio con le gocciole?
Vale, basta non zuccherare :)