Sono stata in Germania con la scusa dei mercatini di Natale e sono tornata a casa col colesterolo apppalla. Ho imparato tre parole: feuerwurst, pretzel e kartoffelsalat, ma considerato che due su tre sono parole composte, ho già un vocabolario abbastanza ricco. Questo viaggio mi ha aperto gli occhi, ho capito che, in realtà, la spinta a scoprire posti nuovi, nel mio caso, si chiama cibo. Ok conoscere nuove ggenti, ammirare paesaggi fiabeschi, ma vuoi mettere assaggiare piatti mai assaggiati? Che poi magari è sempre carne e sono sempre patate, ma un conto è lo stinco comprato da Giovanni il macellaio e cucinato nel forno di casa con Ariosto e un conto è mangiare lo stinco®, quello vero, all’Hofbräuhaus di Monaco. Mica crauti.
Per il resto nevicava e la gente parlava strano. Sì, parlava tedesco, ma per me il tedesco è una lingua sconosciuta, mi rifiuto di imparare anche come si dice “buongiorno” e “buonanotte” e infatti non lo so come si dice. In Germania io parlavo inglese, cioè dicevo “one moment” quando una cameriera vestita come la moglie di David Gnomo veniva al tavolo a chiedermi cosa volessi e intorno a me non c’era nessuno pronto ad intervenire, perché i miei accompagnatori magari erano in bagno. Ah, ho scoperto che i maschi vanno al bagno più spesso delle femmine, ma forse era l’effetto dei boccali di birra da un litro (che io non prendevo perché troppo luppolo mi gonfia).
Solo altre due parole, che sta per iniziare Chi L’ha Visto e ho i pop corn sul fuoco…
Io mica lo sapevo che in Germania si lasciavano le scarpe fuori dalla porta…cioè, posso capire in Giappone, in Giappone ha senso che lasci le scarpe fuori, lo insegnano tutti gli anime dalla notte dei tempi, ma in G e r m a n i a? Sono rimasta stranita dalla questione e approfondirò sicuramente l’argomento con un germanologo.
Altra questione da approfondire: cose che indossi liberamente in paesi stranieri e che in Italia non metteresti mai, neanche sotto tortura. Tipo il mio cappello.
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