Mi ostino a scrivere post nei rimasugli di tempo, in quegli interstizi vuoti tra l’aver finito una cosa e doverne iniziare un’altra. Alcuni li porto a termine e li pubblico, altri restano in una cartella che, con grande sforzo di fantasia, ho chiamato post. Ogni tanto li riapro, provo a scrivere qualche nuova riga che ha la stessa consistenza della colla, quella che serve per riattaccare i cocci tra loro, come se nessuno dovesse accorgersi che il vaso è caduto e i pezzi sono schizzati qua e là.
E invece io me ne accorgo. Non scrivo di tecnologia, non scrivo di attualità, scrivo di me e, quando rileggo quello che ho scritto ieri, non mi ci riconosco più, figuriamoci se provo a farlo con un post dello scorso anno.
Anche oggi ho aperto la cartella e tutti i post si sono messi a scodinzolare, a dirmi prendi me, prendi me!, ma io come faccio, non posso tenerli, che poi so come va a finire, che li riporto là e stiamo punto e a capo. E allora li libero, che si facciano una vita propria.
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Quando arrivava il circo, nel mio paese, tutta la carovana si fermava in un grosso spiazzo di fronte al campo sportivo. C’era l’erbaccia, lì, e pochissima luce. Spesso ci si fermavano gli zingari e, di notte, le auto delle coppiette per pomiciare. Ma quando arrivava il circo, un circo qualsiasi, con gli acrobati e le tigri e gli omini con le giacche rosse con gli alamari dorati che distribuivano i biglietti agli angoli delle strade, era festa per tutti. Il circo, in un paesino di seimila anime, era l’attrazione della settimana, il tocco di colore, la ventata di novità.
Andavamo a curiosare con le biciclette, appena si spargeva la voce che si erano sistemati, che riuscivi a vedere gli animali nelle gabbie, che qualcuno aveva persino accarezzato un leone. La storia del leone figuriamoci se era vera, solo frutto della fantasia di un bambino troppo spavaldo. Però noi ci andavamo sperando di accarezzare il leone e magari di vedere le giraffe, le zampone delle tigri. O Dumbo. Poi tornavamo a casa che puzzavamo di stalla, con le suole delle scarpe piene di melma e, se ti era andata male, pure qualche sputacchiata di lama tra i capelli.
Però eravamo felici. Nessuno di noi sollevava ancora il problema degli animali in cattività, costretti a salire sui piedistalli, inchinarsi al pubblico, camminare in fila indiana. Per noi era così, non c’era tristezza quando pensavamo al circo, solo magia, musica e popcorn.
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Per la prima volta ho pensato che sì, mi sarebbe decisamente piaciuto andare via. Lasciare tutto e andare a vivere all’Estero.
Mentre loro parlavano davanti a due pezzi di crostata al limone, io già ero là, non so dove, ma ero là. Avevo già lasciato i gatti ai miei suoceri. Lì, in quella casa nuova in un Paese che non era il mio, mi mancavano, ma sapevo che stavano bene e allora stavo bene anch’io.
Ho sempre avuto il terrore di vivere altrove lontano da qui, in posti dove non si parla la mia lingua, dove le abitudini sono diverse. Ho sempre odiato sradicarmi, eppure l’ho fatto, un po’, oggi.
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Ogni volta che torno da un matrimonio, torno con qualche consapevolezza in più. Ho capito che volevo i roller al matrimonio di Stefania. Le cose sono andate tipo che a questo matrimonio c’era una ragazza con le gambe bellissime e allora io ho detto a mio marito guarda che bellissime gambe, le voglio così, me le compri?, e però le gambe non sono mica una borsa di Prada (è solo un esempio, le borse di Prada non mi interessano) e allora lui mi ha detto che ‘sta ragazza gli aveva raccontato che andava sui roller e quindi ci siamo guardati e ci è venuto il lampo di genio, che anche noi dovevamo comprarci i roller e farci venire le gambe bellissime. Molto probabilmente ci verrà qualsiasi altra cosa ma le gambe bellissime no, però l’idea di pattinare sul lungomare di Civitanova Marche immaginando di stare a Miami ci è piaciuta subito.
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Questa è una parabola. Un tempo, ad Ararat (sennò che parabola è?), c’erano due acquari: una vaschetta di quelle che si vendono alle fiere, di plastica, con le alghe e le stelle marine finte e un signor acquario, con filtri, pompe e luci blu. Nella vaschetta galleggiavano cinque pesci rossi annoiati e boccheggianti, l’acquario, invece, era abitato da pesci marini di ogni colore e specie. C’erano pesci pagliaccio, pesci palla, un po’ di piranha e qualche squalo. Un giorno accadde che un pesce rosso, a furia di sentirsi sempre ripetere da tutti gli altri pesci rossi che era speciale, il più bravo e il più forte, e che poteva avere di meglio che una vaschetta di plastica, si mise in testa di essere, in realtà, un pesce tropicale e cominciò ad escogitare modi per raggiungere l’altro acquario, con i pesci più adatti al suo rango.
Una volta raggiunto l’acquario, cominciò a nuotare alla ricerca dei pesci grossi; voleva mettersi in mostra, far vedere quanto era bravo, ma se lui sapeva fare tre piroette, un altro ne riusciva a fare trenta, se lui sapeva nuotare all’indietro, un altro nuotava all’indietro e in diagonale. E il pesce rosso, dopo aver tentato per giorni di mettersi in mostra con scarsi risultati, si rese conto che poi tanto speciale non era.
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Insomma, vado in palestra anche con l’afa, come i veri sportivi, quelli che ci credono, che lanciano urla disumane quando sollevano i pesi. Mentre camminavo per strada ansimando come un bulldog, ho pensato al fatto che a giorni festeggio un anno di palestra. Ho battuto il mio record storico, quello di un mese. Cioè, voglio dire, sono cose da annoverare tra le imprese memorabili. Tutte le palestre dovrebbero segnalare il raggiungimento dell’anno, chessò, magari che tu entri, inserisci come al solito la tessera magnetica e di colpo cadono coriandoli dall’alto, viene sparata la musica di Rocky a tutto volume e il tizio dietro al bancone ti dice che hai vinto una cyclette.
Però di solito succede che non succede niente.
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Ci sono cose che ho voglia di fare e cose che non.
Lo capisco subito quando sono cose che voglio fare, lo capisco perché le faccio, le faccio bene, le faccio presto, non me lo devono mica ripetere due volte, una basta, e tac, è fatta.
Invece le cose che non ho voglia di fare restano lì, in attesa, nel limbo delle cose che non voglio fare.
In quel luogo, nel luogo dove ammucchio le cose scomode come quando ti togli i vestiti e li butti ammassati sulla sedia, i tempi si dilatano, un minuto non è più un minuto, un giorno non è più un giorno, è tutto molto di più, è lento, è fermo, come quando stai in fila alla posta e c’hai il numero 103 e nel tabellone lampeggia finalmente il 102, ma sembra che tutti i clienti agli sportelli debbano fare migliaia di domande all’impiegato di turno, proprio in quel momento. Tipo lei come cucina la cacciagione?, e l’impiegato non lo sa, perché è vegetariano, e allora chiede alla collega che è una buona forchetta e lei sicuramente lo sa, epperò passa mezz’ora e quelli stanno ancora lì a parlare di soffritti e di gradi del forno ed è ancora il turno del 102, che sembra aver finito, finalmente, quando gli viene in mente un’altra domanda che proprio non può fare a meno di porgere, una cosa tipo come si ingrassano le scarpe di pelle.
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Ho smesso di comprare palloncini alle feste di paese qualche anno fa, però, quando ero piccola e uscivo con i miei genitori, di palloncini ne ho comprati un sacco. Costavano 5 mila lire, mi ricordo, ma non erano belli lucidi di quel materiale strano come quelli di adesso, erano solo palloncini fatti del materiale dei palloncini, e però volavano. Quando rientravo a casa, lasciavo libero il palloncino di girare per i soffitti, i palloncini di notte camminano, è certo, perché io lo lasciavo in soggiorno e lo ritrovavo sempre in soggiorno, ma in un altro punto.
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Vado a rinominare la cartella, la chiamo spezzoni, mi sa che è meglio.
Ma lo sai che queste diapositive sono proprio carine?
Era un peccato lasciarle lì, al buio, no? :)
Teneri scampoli di vita. Darei un baule carico di 5 mila lire per quei palloncini appesi al soffitto che apparentemente si muovevano con movimenti propri, ma in realtà a muoverli era il vostro respiro per casa.
Poetica :)
le cose scritte, lasciate lì incompiute, hanno una loro dignità legata all’attimo in cui sono state concepite. Inutile cercare di rprenderle a distanza di tempo, è il nostro bisogno di senso logico a volerlo fare, niente a che vedere con il senso estetico o poetico.
giusto quindi presentarli così come sono nati, scampoli, frammenti, spezzoni, cianfrusaglie di noi, che ci hanno attraversato il cuore in qualche istante irripetibile e sono poi rimasti in un limbo ad ondeggiare lievi. ml
Non avrei saputo dirlo con parole migliori.
Grazie.
Ti prego fuggiamo insieme. Ho sempre sognato di fuggire con una donna che usi correttamente la parola interstizio.
Fuggiamo all’estero correndo dietro a un circo sui roller, avremo una vasca di pesci rossi e vivremo vicino a una palestra, con un grande giardino dove far scodinzolare tutti i post scritti nei ritagli di tempo e una grande cantina dove mettere tutte le cose che non vogliamo fare. E la casa sarà sempre piena di palloncini attaccati al soffitto.
Che ne dici?
Ci vediamo domattina alle 7 su quella collina piena di erba, ti aspetto nella mongolfiera rossa, ma la riconoscerai perché è quella più carina.
<3
Cla, se fuggi con Max per cortesia continua a scrivere il blog, questi ricordi di te sono proprio speciali, poi magari in alcuni non ti riconosci più però sono comunque capitoli o paragrafi del libro della tua vita.
Bello. Brava, anzi superlativa.
Sì, immagina di quante avventure potrei parlare! ;)
Grazie, Miss. :**
Probabilmente un giorno ti copierò e lascerò liberi anch’io i miei spezzoni… probabilmente, però, eh. :)
Aspetto al varco i tuoi spezzoni ;*
Ecco, anche spezzate queste idee mi fan venire voglia di smettere di blaterare cazzate in rete. Che lo so, non è una cosa buona e poi mi passa. Però prendila come un complimento: belle cose.
Non ci provare, Denise, vengo a tirarti le trecce (ehm, lo so, è troppo tardi) ;)
(approfitto per dirti che stai benissimo!)
Uh, no no dai, ritiro tutto :)
(Grazie!)
aiuto! otto posto in un post è tantissimo! però questo “diario minimo” ha del fascino da vendere, come tutte le cose incompiute, perché respirano di cammino. e poi ha il fascino del circo, con quell’imagine da Circo Bidone misto tra un’immagine bohémien ed un sorriso. ma io lo so che un giorno uscirà un libro di qualcuno con i post non inviati. se fosse il tuo, sappi che hai già un acquirente.
p.s. certo che, palloncini a 5 mila lire, un po’ di cresta ce la facevano, eh…
Figurati quelli di adesso a dieci euro! No, vabbè, forse ne costano cinque. Non sono più informata sul mercato dei palloncini ;)
Grazie, mi hai fatto sorridere. E il “diario minimo” credo si ripresenterà almeno una volta all’anno :*
Ci vorrebbe un commento per ogni spezzone. Intanto commento il primo che potrei aver scritto per quanto mi ci ritrovi. Uguale uguale. Con l’unica differenza che la mia cartella non si chiama “Post”, si chiama ed è rimasta “Nuova cartella”.
L’ho rinominata solo perché io sono maniaca dell’ordine anche sul pc e quindi devo avere tutte le cose a posto :)
Avevo intuito questa cosa in te. Di te. Su di te. Dentro te. Insomma, l’avevo notato.
Ho letto anche gli altri, li commento con il pensiero.
Grazie, è bello.
“Liberare gli spezzoni” suona bene… Come il movimento di liberazione dei nani da giardino, che quando in un bosco ne incontri uno non puoi non sorridere anche se è lì senza gli altri sei…
Non mi sono mai imbattuta in un nano da giardino tutto solo, però deve essere bello, sì :)
C’è l’imbarazzo della scelta, uno più bello dell’altro :)
Mi ha fatto ridere però quello della palestra…mi sono proprio immaginato la scenetta :D
Buonanotte :)
Grazie, Roberto ;)
Che bello, che belli. Piccoli pezzetti ognuno con una luce diversa. Quella cosa di non ritrovarsi neanche in quello che hai scritto ieri, ecco, quella la condivido proprio.
<3
Grazie :)
Siamo in tanti, a quanto pare.
<3
adoravo i palloncini di elio da bambino… quel loro non voler mai discendere, ma salire, salire sempre più in alto…
Già, bellissimi. Quei tempi, pure :)
Ciao, Michele.
eh sì, davvero tempi spensierati :)
ciao claudia, buona domenica
Che te lo dico a fare che da questi spezzoni emerge tantissimo di te?
E poi ho pensato “Cavolo, avrei voluto farlo io con tutti gli spezzoni che ho nella cartella sul deck, adesso soprattutto.”
Deve essere un po’ liberatorio.
Tanto. Infatti mi sono così svuotata che penso che il prossimo post lo scriverò a luglio, tipo :D
Un bacio, dorotè :*
L’idea di questo collage è superlativa … hai trasformato i cocci in un bellissimo mosaico :)
Grazie, Saretta ;*
Io non ho mai scritto un post senza poi pubblicarlo, al massimo lo riscrivo finchè non credo sia “pronto” (e di solito qualche giorno dopo mi fanno cag… ma non credo scriverò mai qualcosa che mi soddisfi pienamente).
Ci sono cose che anche io – come tutti – non ho voglia di fare, ma di alcune non capisco perchè non mi vada di farle.
A presto!
Io dico sempre che non lo farò più, ché poi non mi riesce mai di finirli. Però poi capita che mi metto a scrivere e, per un motivo o per un altro, devo smettere, quelli sono i post che vanno a finire in “spezzoni” ;)
Credo che tutti sappiamo, in fondo, perché non ci va di fare le cose, è solo che non vogliamo ammetterlo :)
Baci, Anna.
Claudia tu sei bravissima e bellissima anche a pezzetti. (brava, anche per l’idea)
Grazie, cara. Grazie un milione <3